Possiamo fare a meno della Cina?

Questa è la domanda cui ha cercato di dare risposta il Dott. Alberto Bradanini, ospite della interessante serata organizzata il 7 maggio scorso dal Lions Club Mirandola (presidente Paolo Campedelli). Il Dott. Bradanini si è occupato a lungo di Cina, già dal 1991 come consigliere commerciale, Console Generale, funzionario della Farnesina e poi come ambasciatore del nostro Paese presso la Repubblica Popolare Cinese  dal 2013 al 2015. E’ attualmente Presidente del “Centro Studi sulla Cina Contemporanea” e membro del Cda della Pirelli Corporation. Ha quindi avuto modo di conoscere ed approfondire la conoscenza del popolo cinese, ricco di storia che comincia più di quattromila anni fa, cioè molto prima di quella greco-romana, anche se essa non è materia di studio nelle nostre scuole. In effetti quasi nessuno, compresi i politici che oggi visitano quella nazione, conoscono la storia della civiltà cinese. La Cina è un universo molto complesso, le cui peculiarità sono di natura culturale e politica. Prescindendo dalla nostra cultura, quella cinese ha assorbito tutte le altre, giungendo a noi ancora in ottima salute. La storia moderna della Cina comincia nel 1949 con Mao Tse Tung e la sua rivoluzione culturale, terminata nel 1979 ad opera del suo successore DengXiao Ping, vero iniziatore dell’ascesa della Cina al vertice delle potenze mondiali. Deng introduce nella società cinese elementi di capitalismo, lasciando che l’economia faccia il suo corso, purchè raggiunga l’obiettivo di migliorare le condizioni del popolo. A lui si attribuisce il fatto che più di un miliardo di cinesi sia uscito dalla povertà, contraddicendo in pieno il detto di Churchill secondo cui, mentre il capitalismo divide male la ricchezza fra pochi, il comunismo divide molto bene la povertà fra tutti. In Cina si è sviluppato un capitalismo regolato dalla onnipresenza dello Stato che controlla lo sviluppo, senza ostacolarlo e senza far ricorso ai famigerati piani quinquennali di sovietica memoria. E’ l’unico Paese in cui i datori di lavoro sono organizzati in associazioni, mentre, paradossalmente, i lavoratori non possono organizzarsi in sindacati. In Cina non vige la libertà, ma il contatto con l’Occidente ne ha fatto entrare i germi, per cui i cinesi dovranno, prima o poi, fare i conti con essa. Il successo per cui circa il 60% degli oggetti che usiamo sono prodotti in Cina deriva dal fatto che, essendo l’efficienza produttiva dei cinesi di gran lunga superiore a quella degli altri Paesi, i loro costi di produzione possono mantenersi bassi. Se a lungo la dicitura “Made in China” era sinonimo di produzione di massa a basso costo e scarsa qualità, ora sembra destinata ad assumere un nuovo significato: la qualità sta crescendo e la produzione è sempre più rivolta a tecnologie avanzate. Ma da dove proviene un così grande coinvolgimento dei cinesi con il lavoro? E’ un fatto culturale, in quanto la società cinese si fonda su diversi elementi. In essa il sincretismo (secondo cui si può passare da una religione all’altra senza problemi) si fonde col taoismo (religione centrata sul posto e la funzione, ben precisi, di ogni essere umano), con il confucianesimo (filosofia di vita che vede a capo dell’ordine cosmico l’Uomo, la Terra e il Cielo, esseri indivisibili e nati da un unico principio legislatore) e con il buddismo (proveniente dall’India, secondo cui la vita umana non può evitare la presenza del dolore e della morte). Se a tutto ciò si unisce il grande senso di comunità presente nei cinesi, dove tutto è ordinato per clan, si comprende come mai essi si comportino in quel certo modo, così diverso dal nostro, anche senza imposizioni dall’esterno. Allora, la risposta del Dott. Bradanini alla domanda iniziale non può che essere una: “No, non possiamo fare a meno della Cina! Ma dovremo assolutamente trovare un modus vivendi per difendere la nostra società e le nostre conquiste dalla pervasività cinese”.

Insomma, si è vissuto un incontro che ha messo in luce l’elevata competenza dell’ospite, anche attraverso le sue risposte, talora sorprendenti, o provocatorie, alle numerose domande del pubblico.

I.P.